La danza è una pratica corporea comune a tutte le culture, è da sempre una forma di espressione e comunicazione per l’uomo e gioca un ruolo fondamentale nelle dinamiche sociali di numerose comunità. Per questo motivo è diventata oggetto di studio di importanti ricercatori e ricercatrici fin dalla nascita dell’antropologia culturale: è possibile rintracciare nella letteratura scientifica diverse analisi sulla danza come forma rituale, teorie e studi sulla funzione sociale della danza e nel campo dell’antropologia medica sono interessanti i benefici della pratica sul corpo.
In tutte queste analisi non emerge però l’aspetto di creazione e innovazione, fondamentale per la danza contemporanea oggi. Nasce spontanea quindi la domanda: la danza, attraverso il corpo, è una forma di creazione culturale? Come riconoscere nell’artista la capacità di produzione dell’opera?
Per rispondere a queste domande è necessario partire dal concetto di incorporazione (embodiment), che consiste nel considerare il corpo come protagonista attivo della vita sociale e non come oggetto da studiare in relazione alla propria cultura.
È stato Thomas Csordas (1994), docente di Antropologia e Fenomenologia del Corpo a San Diego, Università di California, a teorizzare l’incorporazione come concetto chiave di una nuova fase antropologica: si tratta del “postulato metodologico che il corpo non è un oggetto da studiare in relazione alla cultura, ma dev’essere considerato come il soggetto della cultura stessa, vale a dire il terreno esistenziale della cultura” (Csordas 1990,5).
Il concetto di incorporazione si sviluppa a partire dal superamento della dicotomia tra mente e corpo. Le teorie e gli studi sul corpo nascono infatti in Occidente, dove la distinzione tra la nostra dimensione fisica e quella di pensiero ha radici lontane.
Speculare, e per certi aspetti antitetico, è stato invece lo sviluppo della concezione dell’essere umano in Oriente, considerato nella totalità dei suoi aspetti come un componente dell’universo, completamente integrato in esso e in una relazione di equilibrio con l’ambiente che lo circonda. Il pensiero orientale riconosce la capacità di apprendimento e di stare al mondo nel corpo e non “attraverso un corpo”.
In alcune tribù della Guinea Equatoriale, per esempio, i figli vengono mandati nei villaggi dove la danza ha raggiunto livelli altissimi, affinché questi giovani possano perfezionarsi e assumere poi, nel loro villaggio, il ruolo di primi danzatori e di maestri danza. Le feste di danza sono un rito di passaggio all’età adulta e diventano l’oggetto di una preparazione che dura settimane affinché i giovani arrivino a una totale padronanza di ogni gesto e movimento. Le danze di questo tipo diventano anche necessariamente manifestazioni artistiche personali.
Troviamo in molti casi addirittura una forma di diritti d’autore per l’invenzione coreutica, non solo di colui che ha eseguito per primo la danza ma per tutte le generazioni che seguono e nessuno oserebbe riprodurre dei passi che non appartengono alla propria famiglia. In questo modo ogni gruppo ha un corpus di movimenti corporei trasmessi che rientrano nel patrimonio culturale condiviso del gruppo.
La prospettiva di Csordas si avvicina alla visione orientale, perché descrive sia un’attitudine del corpo al condizionamento dalle strutture che lo sovrastano, ma anche una vocazione creativa del corpo alla invenzione e all’appropriazione di nuove e differenti tecniche espressive che divengono sapere e cultura condivisa di una società, rendendo in questo modo il movimento e la danza non più solo strumenti ma creatori di cultura.